Le patologie del piede
LE PATOLOGIE DEL PIEDE
Dal punto di vista anatomico, il piede è l'estremità dell'arto inferiore del corpo umano. E' un organo complesso, costituito da un grande numero di articolazioni, che ne consentono il movimento e l'adattabilità a tutte le superfici. Si tratta di una struttura anatomica fondamentale, perché su di essa agiscono tutti i carichi generati dal movimento corporeo, sia nell'attività sportiva che nella vita di tutti i giorni. E' alla base del c.d. sistema di controllo antigravitario (sistema posturale o di equilibrio), che ha permesso all'uomo di assumere la postura eretta e di spostarsi nello spazio.
Il
piede è formato da 26
ossa, numerosi
muscoli e complesse articolazioni. Si
distingue in:
Avampiede: in cui si trovano le ossa
delle falangi e dei metatarsi;
Mesopiede: in cui si trovano l'osso
cuboideo, i tre cuneiformi, e lo scafoide
tarsale;
Retropiede: in cui si trovano l'osso
astragalo e calcagno.
Nel piede ci sono anche tessuti specializzati
come tronchi
nervosi o nervi, con rami terminali e
collaterali (per la funzione motoria e quella
sensitiva) e muscolatura intrinseca
ed estrinseca.
Il piede deve essere protetto con l'uso di calzature idonee e attentamente curato, cercando di prevenire ogni eventuale patologia. Un piede che non dà segno di sé è un piede normale, mentre un piede che si fa “sentire” può essere un piede malato. Si possono infatti verificare eventi traumatici, patologie degenerative, infiammazioni, deformità congenite o acquisite che alterano il movimento del piede, la deambulazione o la postura dell'intero corpo.
Le patologie più diffuse sono l'alluce valgo, l'alluce rigido, possibili deformità delle dita, il neuroma di Morton, la fascite plantare e la spina calcaneare, la distorsione dell'articolazione dell'alluce, il piede piatto.
In tutti questi casi, occorre intraprendere le
cure più adeguate per risolvere i problemi che
si sono verificati e recuperare la funzionalità
del piede, sottoponendosi ad una visita
ortopedica specialistica.
Dal punto di vista anatomico, il piede è un organo complesso, costituito da un grande numero di articolazioni, che ne consentono il movimento e l'adattabilità a tutte le superfici. Si tratta di una struttura anatomica fondamentale, perché su di essa agiscono tutti i carichi generati dal movimento corporeo, sia nell'attività sportiva che nella vita di tutti i giorni. E' alla base del c.d. sistema di controllo antigravitario (sistema posturale o di equilibrio), che ha permesso all'uomo di assumere la postura eretta e di spostarsi nello spazio.
Lo scheletro del piede è un costituito
dall'articolazione di 28 ossa, comprese le ossa
sesamoidi costanti del piede. Tale numero può
tuttavia variare da persona a persona per la
presenza di uno o più sesamoidi incostanti o di
alcune ossa dette “ossa accessorie” del piede.
Le ossa accessorie del piede sono collocate in
varie aree del piede e sono presenti solo in un
ristretto numero di persone; la causa della loro
particolare formazione è l'insorgenza di centri
di ossificazione multipli, che suddividono il
primitivo abbozzo cartilagineo di un osso in più
ossa.
Le ossa del piede vengono generalmente suddivise in tre gruppi:
- il Tarso,
che costituisce la parte posteriore del piede e
si articola con la parte finale della tibia,
raggruppa le seguenti ossa: astragalo, calcagno,
navicolare, cuboide ed i tre cuneiformi
(mediale, intermedio, laterale);
- il Metatarso,
che costituisce la parte intermedia del piede, è
formato dalle cinque ossa metatarsali, e si
articola con i tre cuneiformi e il cuboide del
tarso;
- le Falangi,
che sono tre per ogni dito (prossimale,
intermedia, distale), tranne nel primo dito in
cui sono solo due (prossimale e distale), per un
totale di quattordici segmenti ossei.
Un cenno particolare meritano l’astragalo e il
calcagno, che sono molto importanti nella
biomeccanica del piede. L’astragalo (una
delle ossa meno vascolarizzate dell'organismo,
ricoperto all’80% da cartilagine per consentire
la fluidità nel movimento) è posto al centro del
piede e costituisce il perno osseo di tutta la
regione; esso distribuisce sugli archi plantari
il peso del corpo, che viene poi scaricato su
tre punti principali di appoggio, ovvero la
tuberosità posteriore del calcagno e le teste
del primo e quinto metatarso (in ordine
decrescente). Non a caso quindi, il calcagno è
molto voluminoso; nella parte posteriore del
calcagno vi è una sporgenza rugosa sulla quale
si inserisce il tendine calcaneare (c.d. tendine
di Achille), che origina dai muscoli del
polpaccio, fondamentale per la deambulazione.
Le articolazioni del
piede, che costituiscono il sistema di
connessione tra due o più segmenti ossei,
possono così distinguersi:
- articolazioni
intertarsali: sono tre, ovvero (1)
Sottotalare, tra astragalo e calcagno; (2)
Talo-calcaneo-navicolare, tra astragalo,
navicolare e calcagno; (3) Calcaneo-cuboidea,
tra calcagno e cuboide. Queste due ultime
articolazioni costituiscono un insieme
funzionale denominato articolazione tarsale
traversa, che attraversa il piede
trasversalemente.
- articolazioni
tarso-metatarsali: il 1°, 2° e 3°
metatarso si articolano rispettivamente con il
cuneiforme mediale, il cuneiforme intermedio ed
il cuneiforme laterale; il 4° e 5° metatarso si
articolano con il cuboide.
- articolazioni
intermetatarsali: si trovano alla base
del 2°, 3°, 4° e 5° osso metatarsale.
- articolazioni
metatarso-falangee: collegano le 5 ossa
metatarsali con le falangi prossimali.
- articolazioni
interfalangee: sono tre per ogni dito,
tranne che per l'alluce che ne ha due.
A questa va aggiunta l’articolazione tibio-tarsica,
tra tibia e astragalo, detta anche “collo del
piede”.
Tutte le ossa del piede presentano un
rivestimento di cartilagine,
almeno parziale. Elastica e nel contempo
resistente e stabile, la cartilagine consente lo
scorrimento senza attrito delle ossa nelle
articolazioni e serve da cuscinetto protettivo,
assorbendo gli urti nel movimento.
Visto dall’esterno, il piede ha superficie
superiore detta dorso
del piede o collo del
piede ed una superficie inferiore detta pianta
del piede o superficie
plantare.
La pianta del piede non poggia completamente sul
terreno ma si alza nella volta plantare,
superficie concava delimitata da tre archi,
detti archi
plantari, ciascuno situato in un lato
della superficie plantare del piede, che sono
detti arco trasverso, arco longitudinale mediale
e arco longitudinale laterale.
Gli archi plantari hanno la funzione di
trasformare le spinte verticali in spinte
laterali allo scopo di migliorare la
distribuzione del peso corporeo sulla esigua
superficie del piede, sia in posizione eretta
che durante la deambulazione. In particolare,
l’arco mediale (il centro della volta) è
deputato a sostenere l'intero peso corporeo (in
stazione eretta il baricentro corporeo si
scarica all'apice dell'arco mediale, che
distribuisce il peso suò primo e quinto
metatarso e sul calcagno, come si è detto).
Ogni arco plantare ha dei cunei, costituiti
dalle ossa del tarso e del metatarso, e una
chiave di volta, la più apicale delle ossa che
compone l'arco e che è caratterizzata
dall'inserzione di un muscolo della gamba che la
sorregge e impedisce all'arco di crollare. Come
in architettura, l'arco è in grado di sostenere
grandi carichi verticali purchè le basi siano
stabili, in caso contrario l'arco cede. L'azione
dei muscoli è quindi mirata a sostenere la
chiave di volta degli archi plantari. Tra
l’altro, non essendo l'arco plantare costituito
da un unico osso, cosa che lo renderebbe rigido
ed inadeguato a sostenere le sollecitazioni
dinamiche, la tensione muscolo-legamentosa
diventa fondamentale: essa stabilizza
dinamicamente la volta plantare.
Esistono tre tipi di altezza dell’arcata
plantare. Chi ha il piede piatto o un arco molto
basso, tende ad avere un’iperpronazione.
Viceversa, chi ha un arco alto tende ad avere
una supinazione o un’ipopronazione. Questi
difetti possono influire sulla postura e sulla
locomozione.
Le dita dei piedi non possiedono un nome
specifico, eccetto l’alluce, omologo del pollice
e il più grosso tra le dita del piede; per cui
si è soliti assegnare un numero alle dita
secondo la loro posizione. Così - partendo dal
dito più vicino all'asse del corpo verso quello
situato più lateralmente - le dita del piede
sono dette primo dito, secondo dito, terzo dito,
quarto dito e quinto dito del piede.
Nel piede ci sono anche tessuti specializzati
come vasi
e nervi, con rami terminali e collaterali
(per la funzione motoria e quella sensitiva) e muscolatura intrinseca
ed estrinseca.
Il piede deve essere protetto con l'uso di
calzature idonee e attentamente curato, cercando
di prevenire ogni eventuale patologia. Un piede
che non dà segno di sé è un piede normale,
mentre un piede che si fa “sentire” può essere
un piede malato. Si
possono infatti verificare eventi traumatici,
patologie degenerative, infiammazioni, deformità
congenite o acquisite che alterano il movimento
del piede, la deambulazione o la postura
dell'intero corpo.
Le patologie più diffuse sono l'alluce valgo,
l'alluce rigido, possibili deformità delle dita,
il neuroma di Morton, la fascite plantare e la
spina calcaneare, la distorsione
dell'articolazione dell'alluce, il piede piatto.
In tutti questiasi, occorre intraprendere le
cure più adeguate per risolvere i problemi che
si sono verificati e recuperare la funzionalità
del piede, sottoponendosi ad una visita
ortopedica specialistica.
NEUROMA DI MORTON
E’ semplicemente l’aumento di volume di un nervo sensitivo interdigitale, solitamente quello passante nel terzo spazio intermetatarsale,
provocato da uno stimolo irritativo cronico di natura meccanica, che causa la crescita di tessuto cicatriziale fibroso intorno al nervo stesso,
subito prima della sua biforcazione ala radice delle dita. Il nervo cosi’ ispessito trasmette tipiche sensazioni dolorose che danno nome a una
sindrome che prende il suo nome da Thomas G..Morton, il medico che nel 1876 a Philadelphia, descrisse la sindrome dolorosa correlata ad esso,
anche se sembrerebbe gia’ conosciuta e descritta precedentemente in Inghilterra alla corte della regina.
Anche il termine neuroma e’ assolutamente improprio in quanto il suffisso “oma” indica una condizione tumorale del nervo,
in questo caso assolutamente inesistente, trattandosi esattamente di una “fibrosi perineurale”, cioe’ la formazione di tessuto cicatriziale fibroso
causata dalla continua frizione sul nervo delle adiacenti ossa metatarsali e del legamento intermetatarsale profondo,
che a livello del terzo spazio sono piu’ mobili rispetto ad altre parti del piede.
Il neuroma di Morton è una sindrome
caratterizzata da acuto dolore alla pianta del
piede, localizzato alla base del 3° e del 4°
dito.
La localizzazione piu comune e’ infatti a tale livello, interessando nell’80 % dei casi il nervo che trasmette parte della sensibilita’ al terzo e quarto dito.
Un ulteriore 15 % riguarda il secondo spazio, mentre rarissime sono le altre localizzazioni.
Il paziente affetto da neuroma di Morton lamenta un dolore acuto sotto la pianta del piede a volte di tipo urente localizzato solitamente
tra terzo e quarto metatarso, con irradiazione tra le dita, a volte accompagnato da una sensazione di “qualcosa” che si muove tra i metatarsi
con rumore di scroscio e dolore correlato al movimento.
FASCITE PLANTARE
Per fascite plantare si intende un processo infiammatorio del cosiddetto "legamento arcuato" (detto anche "aponeurosi plantare"), che è una fascia fibrosa che parte dalla zona mediale del calcagno sino ad arrivare ai legamenti delle dita del piede. Tale infiammazione di solito avviene al livello dell’inserzione calcaneare (cioè alla base del calcagno, che è meno vascolarizzata), e può essere associata alla spina calcaneare e cioè ad una formazione ossea speroniforme, che si estende verso le dita del piede a partire dal processo mediale di uno o ambedue i calcagni.
La fascia plantare e la sintomatologia della fascite plantare
La fascite plantare può essere causata da
modificazioni degenerative del legamento arcuato
dovute a microtraumi ripetuti, che causano una
infiammazione dell'osso (periostite) da trazione
e delle microlacerazioni, oppure ad una
eccessiva sollecitazione della fascia plantare.
Questa patologia colpisce spesso gli sportivi (maratoneti,
giocatori di basket, calciatori, ed altri
altleti che praticano sport in cui gli arti
inferiori sono molto sollecitati). Può accadere
inoltre che durante movimenti particolarmente
violenti, come ad esempio la fase di stacco
durante il salto, oppure in situazioni nelle
quali venga fortemente aumentato il carico sulla
pianta del piede, come ad esempio correre
velocemente in curva, si possa verificare una
rottura dell’aponeurosi plantare alla
sua origine calcaneare o nei flessori brevi
delle dita. La fascite
plantare si può
manifestare al livello del calcagno (fascite
plantare prossimale) oppure
a livello del mesopiede (fascite
plantare distale).
Esempio di risonanza magnetica di flogosi e lesione della fascia plantare all'inserzione sul calcagno
La fascite plantare si manifesta con graduale inizio del dolore all’interno del tallone, che provoca una deambulazione alterata, in cui si poggia prevalentemente l'avampiede. In caso di rottura della fascia plantare si avverte un dolore acuto, "a strappo", e non si riesce più a camminare. La sintomatologia dolorosa è molto caratteristica: al risveglio si avverte un dolore fortissimo ed è quasi impossibile muoversi; solo dopo aver camminato, anche per poco, si avverte un miglioramento.
SPERONE CALCANEARE
Lo sperone o spina calcaneare è una patologia a carattere prettamente degenerativo, dovuta principalmente all'artrosi o al cronicizzarsi della fascite plantare; a differenza della fascite può essere anche asintomatica.
Il trattamento e la cura
La fascite plantare difficilmente ha una risoluzione spontanea. Il trattamento immediato prescritto è generalmente l’applicazione locale di ghiaccio, accompagnato all'uso di una talloniera in silicone, che ha lo scopo di assorbire gli urti. Nei casi più gravi, può essere utile la terapia fisica (tecar terapia, massaggi, ultrasuoni, laser) associata a stretching della fascia plantare, del c.d. tendine di Achille e della muscolatura del polpaccio, nonché all'uso di plantari adeguati e ad infiltrazioni locali di farmaci antinfammatori. Recentemente si è introdotta una nuova terapia, che prevede l'infiltrazioni di derivati del plasma del paziente (c.d. ACP) con risultati incoraggianti.
Per lo sperone calcaneare il trattamento è sostanzialmente lo stesso. In più è prevista solo la terapia con onde d'urto, che può ridurre la patologia e portare buoni risultati.
Quando la patologia è grave o non si risolve con le cure sopra descritte, si può valutare un intervento chirurgico, che prevede sempre il c.d. release della fascia plantare (ovvero dei tagli che consentono il rilascio e l'allungamento della fascia plantare). Nel caso dello sperone calcaneare si effettua anche l’asportazione della spina.
I tempi di guarigione sono nell’ordine di circa 6 mesi. Purtroppo occorre ricordare che le ricadute sono piuttosto frequenti ed il problema può ripresentarsi dopo pochi mesi. Molte di queste ricadute sono comunque da imputarsi ad una scarda attenzione al decorso postoperatorio (che in questi casi è delicato) o alla rientro in tempi troppo brevi all’attività sportiva, che spesso viene ripresa anche in presenza di una residua sintomatologia dolorosa. Nel caso di ricadute, l'unica soluzione è sottoporsi ad un nuovo intervento di liberazione della fascia plantare, con una piccola incisione chirurgica o anche per via artroscopica.
ALLUCE VALGO
L’alluce valgo è una delle patologie più diffuse a carico del piede. E’ caratterizzato da una deformità del primo dito (l’alluce, appunto) che comporta una deviazione laterale della falange, con lussazione dei sesamoidi, due piccole ossa entro le quali si trova l’articolazione dell’alluce. In genere, questa deformità è accompagnata da una tumefazione dolente della parte interna del piede, la cosiddetta “cipolla”, che altro non è che una forma di borsite, cioè di infiammazione da sfregamento con la calzatura.
Esempio radiografico di Alluce valgo
La deformità
dell’alluce
valgo si associa
spesso al piede
piatto, in
quanto la
ridotta
curvatura della
pianta porta a
sovraccaricare
in modo
esagerato la
parte anteriore
del piede, e può
causare, oltre a
lesioni cutanee
(callosità,
ulcerazioni) che
abbiamo già
visto, anche
deformazioni al
secondo e terzo
dito, definiti
"a martello" e
ulteriori
conseguenze come
lesioni
osteoarticolari
all’avampiede e
persino
ripercussioni
gravi sui
ginocchi, sulle
anche e sulla
colonna
vertebrale.
Chi maggiormente
soffre di alluce
valgo è la donna
(dieci volte più
dell’uomo), in
genere di età
matura o senile,
e soprattutto se
vi sono casi di
ereditarietà.
Cause
La causa dell’alluce valgo può essere primaria o congenita – con la tendenza a svilupparsi nell’età dell’accrescimento – o secondaria o acquisita, come nelle forme rachitiche, infiammatorie, infettive, tropiche, traumatiche, ecc. In quest’ultimo caso, una responsabilità notevole può essere attribuita a modelli di calzatura inadeguati alla fisiologia del piede, ad esempio scarpe con tacco alto o strette in punta. Quelle con il tacco eccessivamente alto (fino a 12/14 centimetri) costringono il piede a una posizione innaturale, accorciando il tendine di Achille. In questo modo, si sposta eccessivamente il peso del corpo in avanti stravolgendo la funzione stabilizzante del piede nella ripartizione del peso. Tutto il peso, infatti, va a gravare su un’area più piccola rispetto alla pianta completa, il che fa assumere ai piedi una posizione ruotata verso l’interno, che, tra l’altro, può favorire la distorsione delle caviglie.
Non è superfluo, qui, richiamare alcuni principi di biomeccanica del piede durante la fase dinamica, cioè il cosiddetto ciclo del passo, che è costituito sommariamente da tre diverse fasi: appoggio completo, sollevamento del calcagno, fase di spinta.
Nella fase del
contatto
completo tra
superficie
plantare e suolo
si ha la massima
pronazione del
piede (momento
dell’impatto).
Nella fase
intermedia si
passa dalla
pronazione alla
supinazione
(sollevamento)
del piede e il
muscolo tibiale
posteriore
inizia a
contrarsi. Nella
fase di spinta,
invece, la
fascia plantare
è messa in
tensione dalla
flessione della
testa del primo
metatarso e
dell’alluce
(effetto argano)
e il piede si
trasforma in una
leva rigida per
facilitare la
spinta.
In caso di
anomalie del
passo, dovute
anche a
calzature
inadeguate, che
non consentono
una corretta
pronazione del
piede, si può
segnalare una
iper-sollecitazione
o stiramento a
carico dei
muscoli
peroniero lungo
e peroniero
breve,
responsabili,
come indicato,
di distorsioni
alla caviglia e
tendinite dei
peronei.
Non bisogna
dimenticare,
peraltro, che a
ogni passo il
cuscinetto sotto
il tallone
assorbe l’urto
con il terreno:
il piede quindi
funge anche da
stabilizzatore
rigido che
equilibra la
distribuzione
dell’urto. Se
viene meno tale
funzione ne
consegue un
indolenzimento
alle ginocchia,
che si può
ripercuotere
fino alla
schiena e al
collo.
Il paziente che soffre di alluce valgo, oltre che nella zona della “cipolla”, prova dolore sotto carico nella pianta del piede. Ma sono le conseguenze estetiche e, soprattutto, funzionali, cioè eventuali problemi legati alla deambulazione, talora anche invalidanti, che lo spingono a rivolgersi a uno specialista.
L’importanza di calzature adeguate
Il primo
consiglio da
fornire a chi
soffre di questa
patologia è
ricorrere a
calzature
adeguate. La
scarpa migliore
per la salute
del piede è
quella che
riprende la sua
forma naturale,
che fornisce
sostegno
all’arco
plantare e
presenta una
tomaia morbida e
priva di
cuciture e una
suola flessibile
al di sotto
della punta del
piede, come
fanno la maggior
parte delle
calzature
sportive. E se
proprio vogliamo
il tacco, che
non superi i
quattro/cinque
centimetri. Una
buona scarpa,
infatti, ha una
suola
relativamente
piatta e che si
adatta
comodamente al
tallone e la
parte anteriore
deve essere
sufficientemente
spaziosa per
accogliere la
punta del piede.
In genere, i
podologi non
sono troppo
favorevoli
nemmeno alle
famose
“infradito”, in
quanto troppo
piatte, troppo
morbide e non in
grado di offrire
sostegno,
protezione,
contenimento al
piede, che
rischia con più
facilità urti o
scivolate.
Quale misura
preventiva, lo
specialista può
suggerire anche
plantari o
calzature
ortopediche che
hanno lo scopo
di evitare un
sovraccarico
della parte
anteriore del
piede o
consigliare
interventi di
fisioterapia.
Tutte queste
soluzioni
possono
rallentare il
processo in
corso ma,
purtroppo, non
sono in grado di
farlo regredire.
Il ricorso all’intervento chirurgico
Per risolvere il problema in modo definitivo, bisogna ricorrere all’intervento chirurgico. Esistono diverse tecniche per il trattamento dell’alluce valgo: alcune agiscono sull’osso, altre sulle parti molli e altre ancora su entrambi. Prima dell’intervento è necessaria però una precisa valutazione clinico-radiologica del piede in scarico e sottocarico, stabilendo l’ampiezza in gradi della deviazione ossea e tenendo conto, naturalmente, dell’età, del sesso, dell’attività motoria del paziente, ecc.
Gli obiettivi dell’intervento chirurgico sono la correzione dei parametri clinici e radiologici che comprendono il corretto riallineamento dell’alluce, con il controllo della metatarsalgia centrale, il miglioramento dell’angolo di valgismo e l’eliminazione del tessuto osseo in eccesso a livello della sporgenza della borsa (cipolla).
Il tipo di
intervento più
frequente è
quello
denominato osteotomia
percutanea
distale.
Questa tecnica
permette la
correzione della
deviazione del
metatarso
attraverso una
sezione
dell’osso,
eseguita
praticando una
piccola
incisione
cutanea, non più
lunga di un
centimetro, a
livello distale
del metatarso.
Si tratta di un
intervento
miniinvasivo,
con ricovero del
paziente in
regime di day
hospital.
L’anestesia
viene praticata
a livello
locoregionale e
il paziente può
riprendere a
camminare il
giorno stesso,
indossando
un’apposita
scarpetta che
dovrà portare
per un mese
circa. La
correzione viene
mantenuta da un
filo che rimane
in sede per
quattro
settimane. La
sua rimozione
avviene in
ambulatorio ed è
indolore.
In questo
periodo sono
previsti
controlli
settimanali di
medicazione e
rinnovo del
bendaggio, che
verrà
definitivamente
rimosso al
termine della
quinta
settimana. Un
controllo
radiografico
dopo tre mesi
dall’intervento,
dovrà accertare
l’avvenuta
consolidazione
dell’osso e il
grado di
correzione.