LE PATOLOGIE DELLA SCHIENA
LA
COLONNA VERTEBRALE
Funzioni della colonna vertebrale
La conquista della “stazione eretta”, cioè la possibilità di
stare in piedi e di camminare, è il primo carattere distintivo
dell’evoluzione dell’uomo rispetto agli altri animali. Questo
compito viene svolto soprattutto dalla schiena, in particolare
dalla colonna vertebrale, una struttura complessa ed efficiente,
ancorché delicata, che ha precise funzioni:
-
consente la stabilità del corpo
-
sostiene la testa, le spalle e gli arti
superiori
-
protegge il midollo spinale
-
favorisce la mobilità e gli spostamenti del
tronco
-
funge da ammortizzatore, capace di assorbire
carichi e forze grazie alla sua flessibilità ed
elasticità
-
garantisce l’equilibrio durante la fase motoria.
Le ossa della
colonna vertebrale
La colonna vertebrale, detta anche rachide o spina dorsale, che
è una delle prime strutture che si formano a livello embrionale.
Essa è composta da 33-34 ossa, chiamate vertebre, che si
articolano una sull’altra. Procedendo dall’alto in basso, si
contano 7 vertebre cervicali, 12 toraciche (o dorsali), 5
lombari, 5 sacrali e 4-5 coccigee. Le ultime 9, nell’adulto,
sono fuse tra loro, mentre le altre 24 sono mobili e rese
elastiche una con l’altra, grazie a particolari formazioni
cartilaginee, chiamate dischi intervertebrali.
Tutte le ossa contigue sono unite tra loro attraverso un
apparato capsulo-legamentoso e la contrazione e il rilasciamento
dei muscoli e dei tendini permettono efficacia e armonia al
movimento. Non dimentichiamo, inoltre, che i capi ossei con le
loro cartilagini ricche di vasi sanguigni apportano “nutrimento”
(ossigeno) e presiedono a un’azione di continuo rimodellamento e
riparazione del tessuto osseo. Basti pensare che durante la vita
di un uomo lo scheletro viene interamente rinnovato almeno 7-8
volte. Ed è proprio il movimento – è bene ricordarlo – che
stimola le parti articolari a mantenersi sane ed efficienti.
L’importanza delle
quattro curve alternate
La colonna vertebrale, vista di lato, presenta quattro curve
chiamate rispettivamente: lordosi cervicale, cifosi dorsale,
lordosi lombare, cifosi sacrale. La lordosi è una curvatura
fisiologica che presenta una concavità posteriore. La cifosi è
una curvatura a concavità anteriore. Sono proprio queste quattro
curve alternate, che permettono l’elasticità e la solidità della
colonna. Alcuni esperimenti di ingegneria hanno dimostrato che
se l’uomo avesse una colonna vertebrale diritta, essa sarebbe 17
volte meno robusta ed elastica del normale. Tutte le vertebre
hanno un foro (o forame) intervertebrale, dove passa il midollo
spinale, cioè l’insieme dei nervi che collegano ogni parte del
corpo al cervello.

Zona cervicale
Le vertebre di questa parte della colonna sostengono il cranio e
favoriscono i suoi movimenti rotatori. Le prime due, insieme
alla settima, a causa della loro forma, sono dette atipiche: la
prima, chiamata atlante, è fatta ad anello; la seconda,
epistrofeo, è caratterizzata da una protuberanza a forma di
dente; mentre la settima, è detta anche prominens perché sporge
più delle altre e la si sente sulla schiena tra tronco e collo
come una specie di piccola gobba. La parte cervicale della
colonna è circondata dai muscoli trapezii che reggono il collo e
la testa nella parte posteriore e gli stenocleidomastoidei che
controllano la rotazione. La curvatura lordotica con la
convessità rivolta in avanti permette, tra l’altro,
l’assorbimento dei colpi prodotti durante la fase motoria a
protezione della testa. Sempre da queste vertebre escono i
nervi, provenienti dal midollo spinale e prima ancora dal
cervello, che comandano i muscoli delle spalle e degli arti
superiori, fino alle mani.
Zona dorsale
Al tronco dorsale sono collegati gli arti superiori attraverso
l’articolazione formata dalla scapola e dalla clavicola.
Quest’ultima, a sua volta, è unita allo sterno, l’osso piatto a
cui si collegano anche le prime sette vertebre.
In gran parte delle vertebre dorsali si articolano le costole e
si inseriscono alcuni importanti fasci muscolari, tra i quali il
gran dorsale, così chiamato perché è il muscolo più vasto, come
superficie, di tutto il corpo e consente l’adduzione e la
rotazione delle braccia. Nella parte addominale si trova,
invece, il diaframma, muscolo laminare, il cui vertice sale
all’interno della gabbia toracica. Questo tratto partecipa al
complesso movimento della respirazione. La colonna dorsale
permette le rotazioni, le flessioni e le estensioni di tutta la
schiena.
Zona lombare
Questa zona della colonna, strettamente ancorata al bacino, con
le sue vertebre particolarmente robuste sostiene l’intera spina
dorsale e svolge la sua funzione stabilizzatrice del bacino
attraverso movimenti – talora millimetrici – di una vertebra con
l’altra. Mentre si cammina, la parte lombare aiuta il
basculamento del bacino (pelvico), cioè il suo spostamento
avanti e indietro, e contribuisce alla creazione del
“baricentro”, consentendo a tutto il corpo di mantenere
l’equilibrio. Anche in questa zona, sono presenti diverse fasce
muscolari, tra le quali il piccolo e grande psoas, il muscolo
iliaco, ecc.
MAL DI
SCHIENA
Origini e manifestazioni

Una patologia che
riguarda oltre quindici milioni di persone in Italia: il mal di
schiena, termine generico che indica un sintomo nevralgico di
svariate tipologie di affezioni, in questo paese è la prima
causa di assenteismo dal lavoro e la seconda di invalidità
permanente. Eppure solo la metà circa delle persone che ne
soffrono si rivolge a un medico.
Origine del mal di
schiena: malattie delle ossa
È molto raro che il mal di schiena abbia origine da disturbi
gravi a carico delle ossa, che si tratti di lesioni o patologie
di varia natura. Tra i casi possibili ci sono i seguenti:
-
Artrosi
-
-
L'artrosi è una patologia a carico delle
articolazioni di tipo evolutivo, cioè che tende
a peggiorare col tempo. Un’articolazione è
composta da tessuto osseo, capsula e muscolo:
l’usura delle cartilagini porta a un processo
infiammatorio che dermina la modifica di queste
componenti. Lo spazio tra i corpi ossei si
riduce, si verifica una rigidità della capsula
articolare, una alterazione dell’equilibrio tra
le cellule deputate a rimodellare e riparare
l’osso, una conseguente progressiva perdita di
funzionalità dei muscoli attorno
all’articolazione. Per quanto l’artrosi si
manifesti in genere oltre i 65-70 anni d’età,
alcuni ricercatori ritengono probabile che le
lesioni alla colonna vertebrale inizino verso i
trent’anni, per quanto siano estremamente
difficili da individuare in fase d’esordio.
L’artrosi comporta dolori che in genere sono
assenti durante il riposo notturno e si
ripresentano la mattina, seppur migliorando
progressivamente nelle ore successive al
risveglio; i dolori possono peggiorare a causa
di cambiamenti climatici, vento, umidità e
passaggio da ambiente caldo ad ambiente freddo.
-
Scoliosi
-
Di origine congenita, posturale o di natura
idiomatica, cioè di causa sconosciuta, la
scoliosi è una curvatura laterale anomala a
carico della colonna vertebrale, in genere
associata a rotazione e torsione delle vertebre.
Il mal di schiena correlato a questo disturbo è
causato dai muscoli dorsali che sono costretti
ad affrontare un sovraccarico di lavoro.
-
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Spondilite anchilosante
-
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È un tipo di artrite reumatoide, a carico della
spina dorsale: la spondilite anchilosante
colpisce prevalentemente le articolazioni
intervertebrali e costovertebrali. Ne sono
colpiti prevalentemente i giovani adulti maschi.
I sintomi sono una forte rigidità al mattino, un
dolore che può colpire alternativamente un lato
e l’altro della schiena per poi spostarsi allo
sterno, con difficoltà respiratorie in fase di
estensione toracica.
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Fratture osteoporotiche
-
Un disturbo più frequente nelle donne in
menopausa; la decalcificazione dell’osso causa
uno schiacciamento delle vertebre.
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Stenosi spinale
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Per quanto ne esista una forma congenita, la
stenosi spinale è un disturbo tipico dell’età
avanzata: si verifica con un restringimento del
canale centrale della colonna o dei forami
laterali, entro cui passano i nervi. Il dolore
si avverte principalmente quando si è seduti.
-
Dismetrie degli arti inferiori
Non è detto che le gambe si sviluppino con la
stessa lunghezza; se una differenza fra gli arti
inferiori fino a circa tre millimetri è
considerata fisiologica, una dismetria maggiore
può a lungo andare causare problemi cronici, a
causa della necessità di compensazione che si
scarica sulla schiena. Un dolore cronicizzato di
questo tipo non è più risolvibile con semplici
solette.
-
-
Tumori ossei
-
In genere, metastasi provenienti da tumori
primari in altri organi.
Origine del mal di schiena:
altre patologie e traumi
Il mal di schiena può
essere causato da disturbi apparentemente del
tutto slegati dall’area dorsale, che spaziano
dalle patologie a carico dell’apparato
gastrointestinale a quelle tipiche del cavo
orale. Calcolosi e reflusso gastroesofageo, ad
esempio, provocano un dolore che può arrivare ad
irradiarsi alla schiena, dando così
l’impressione che sia coinvolta la colonna
vertebrale. Dolore alle articolazioni della
bocca, masticazione difficoltosa o anomali
rumori mandibolari necessitano di un’immediata
visita odontoiatrica, poiché malocclusioni
dentali e altre patologie di questo tipo possono
ripercuotersi sulla spina dorsale e sui muscoli
dell’area. In caso di cadute, incidenti
automobilistici con conseguente colpo di frusta
e traumi simili, la muscolatura si contrae per
proteggere la colonna vertebrale; una
contrattura muscolare non adeguatamente curata
può sfociare in dolore cronico. Non
necessariamente le algìe sono localizzate nella
parte colpita dal trauma, possono anche
verificarsi in altre zone.
Origine del mal di schiena:
discopatia, postura, stress
Qualora non siano evidenti
altre cause, l’origine del mal di schiena può
essere ricondotta in tre ambiti principali.
-
Meccanico/funzionale.
-
Il tipico disturbo meccanico/funzionale è la
discopatia, causata da un prolasso o un’ernia
del disco intervertebrale, cioè la giunzione
inserita tra due vertebre e composta da un
cuscinetto fibroso di consistenza gelatinosa
racchiuso da un “cercine” esterno duro. Se il
nucleo centrale, a causa di un trauma o altro,
si schiaccia, il disco compresso tende a
fuoriuscire dalla sua sede naturale,
interferendo nel corretto equilibrio tra le
vertebre e sollecitando in modo anomalo i nervi.
L’ernia discale può essere contenuta, protrusa o
espulsa. Nel primo caso, si è verificato solo un
iniziale cedimento dei legamenti; nel secondo, i
legamenti sono danneggiati ma il disco non è
uscito dalla sede; nel terzo, il disco non è più
inserito fra le due vertebre. L’ernia discale
colpisce prevalentemente maschi fra i 35 e i 50
anni; si verifica più di frequente a livello
lombare e si ripercuote sui nervi che partono da
quella zona della colonna, come il nervo
sciatico, che si dirama nelle gambe.
-
-
Posturale.
-
Il mal di schiena con causa posturale è dovuto
ad abitudini, comportamenti e posizioni
scorrette; si spazia dall’uso di mobilio non
adeguato, sedie, poltrone, letti con materassi
troppo morbidi, alle posture sbagliate, anche
causate dall’attività lavorativa, come il
restare troppo a lungo nella stessa posizione,
seduti o in piedi, fino ai movimenti scorretti,
come il modo sbagliato di sollevare un peso.
-
-
Psicologico.
-
Se si esclude ogni possibile causa fisica,
l’origine del mal di schiena può essere
ricercata in ambito psicologico, analizzando
eventuali agenti stressanti di tipo
psico-sociale. Una spia importante in questo
senso sono i cosiddetti sintomi di
“conversione”, descritti dal paziente in senso
figurato con frasi come “Mi sento come se mi
avessero pugnalato alla schiena”, “Soffro come
se portassi addosso un peso insopportabile”.
Capita spesso però che i pazienti non accettino
una diagnosi di disturbo causato da stress, e
rifiutino la psicoterapia, preferendo continuare
a consultare specialisti e chiedendo trattamenti
fisici e cure continuative, nonostante la causa
dell’algìa non sia fisica.
Localizzazione dei dolori
Il dolore: dove e quando
Acuto
Un mal di schiena acuto si risolve al massimo nell’arco di 4-6
settimane, per quanto il 70 per cento dei pazienti superi
l’episodio in circa due settimane. In genere il medico dispone
ulteriori accertamenti solo quando si verificano le seguenti
variabili:
Se il dolore persiste per più di sei
settimane, si è in presenza di un mal di schiena cronico. In
questo caso il medico può prescrivere accertamenti anche
sofisticati:
- la radiografia della colonna in ortostati (in piedi), che
serve per controllare la curva della spina dorsale;
- la Tac, tomografia assiale computerizzata, per controllare
anche i minimi eventuali spostamenti delle vertebre;
- la risonanza magnetica nucleare, che è ancora più precisa
della Tac, è meno dannosa, ma è più costosa;
- l’elettromiografia, un esame che si effettua inserendo
elettrodi ad ago nella pelle delle mani e dei piedi, e che serve
per valutare la condizione dei nervi;
- determinati esami del sangue, ad esempio in caso di sospetto
processo infiammatorio grave, come nel caso di spondilite
anchilosante.
Qualora si evidenzino disturbi posturali, si rende necessario
intervenire sia sullo stile di vita sia eventualmente sulle
condizioni di lavoro, programmando un’attività fisica ad hoc ed
evitando abitudini sedentarie.
Cervicale
I dolori a livello cervicale possono essere di vari tipi. La
cervicalgia conosciuta col nome di torcicollo in genere si
manifesta con un dolore improvviso e molto forte, localizzato in
una specifica porzione della nuca e tale da impedire di voltare
il capo verso destra o sinistra. Nelle manifestazioni più
violente è accompagnata da nausea, vertigini, acufeni,
agitazione, confusione mentale. La cervicalgia cronica necessita
di cure perché può portare a mal di testa tali da risultare
invalidanti. La cervicobrachialgia, detta anche nevralgia
cervico-brachiale, coinvolge gli arti superiori, con un dolore
che si estende fino alla mano e che può verificarsi a destra, a
sinistra o bilateralmente. Per quanto riguarda l'artrosi
cervicale, uno dei sintomi che la caratterizzano è il tipico
rumore che si sente a livello cervicale muovendo la testa, e che
assomiglia a sabbia che fa attrito.
Dorsale
Il mal di schiena con dolore dorsale è la manifestazione più
rara, e in forma acuta si manifesta irradiandosi lungo le arcate
costali. Può arrivare allo sterno e procurare difficoltà di
respirazione.
Lombare
Quasi il 90 per cento dei casi di mal di schiena si verificano a
carico della zona lombare, e in genere si avvertono quando si
deve sollevare un peso da terra, con un dolore che si manifesta
con una sensazione acutissima di strappo o bruciore, tanto da
rendere seriamente difficoltoso quando non impossibile il
raggiungimento della posizione eretta. Questo tipo di lombalgia,
che in italiano viene a volte definita colpo della strega, e in
inglese più appropriatamente low back pain, è di tipo a sbarra,
trasversale nella parte lombare; quando si verifica
un’irradiazione al nervo sciatico si parla di lombosciatalgia.
Se non si tratta di episodi isolati ma diventa un dolore
cronico, la causa va in genere ricercata in una postura errata;
tenere una posizione eretta per troppo tempo, o stare troppo
tempo seduti alla guida, sono tipici casi di comportamenti che
possono sfociare in lombalgia cronica.
-
paziente con età superiore ai 50 anni;
-
dolore che si presenta
anche a riposo;
-
precedenti tumori;
-
temperatura corporea
superiore ai 38° per più di due giorni, che può
far sospettare un’infezione;
-
deficit neuromotori, che si
manifestano con insensibilità, impossibilità a
muoversi o camminare;
-
cadute o traumi di vario
tipo;
-
abuso di alcool o droghe;
-
sospetta spondilite
anchilosante.
-
ERNIA DEL DISCO: DIAGNOSI,
TRATTAMENTO, PREVENZIONE
Molte persone ne soffrono e
la maggior parte di coloro che ne sono colpiti,
non sanno come orientarsi. L’ernia
del disco è
una patologia dolorosa e complicata che nella
maggior parte dei casi necessita di un
intervento chirurgico.
-

Viene definita ernia
del disco o discale lo
spostamento o la fuoruscita di un contenuto
(nucleo polposo) dal proprio naturale
contenitore. In questo caso il contenuto è il
nucleo del disco intervertebrale, il contenitore
è il cosiddetto “anulus”, ossia la parte esterna
del disco intervertebrale, ovvero quel
“cuscinetto” che ha il compito di ammortizzare
le forze che si sviluppano all’interno della
colonna tra una vertebra e l’altra. Ma è
necessario fare una distinzione: quando il
nucleo polposo “esce” da un disco
intervertebrale ma non supera l’anello fibroso,
è più corretto parlare di protrusione
discale,
mentre la fuoruscita del materiale nucleare
dalle fissurazioni dell'anello fibroso, provoca
l'ernia
discale vera
e propria. Il materiale “fuori sede” può
progredire fino a farsi strada oltre il
legamento longitudinale posteriore. Se un
frammento di materiale perde continuità con il
nucleo polposo si realizza la cosiddetta “ernia
espulsa” che può vagare lungo il canale
vertebrale.
Secondo studi condotti in molti paesi
(Danimarca, Svezia, Stati Uniti, Olanda, Regno
Unito) il 50-70% della popolazione adulta ha
avuto una esperienza di dolore lombare. Però
solo il 15-20% dei soggetti lombalgici acuti
ricorre alle cure del medico. La risoluzione
spontanea di questa patologia è molto frequente,
mentre nel 75% dei casi, si risolve entro
quattro settimane, nel 95% entro sei mesi,
mentre persiste oltre questo periodo “solo” per
il 5%. Il tasso di ricaduta arriva al 60 % nel
corso dei due anni successivi.
Ma perché il nucleo del disco intervertebrale
esce dalla propria sede?
Perché si crea una lesione
nell’anulus,
ossia nella parte esterna del disco
intervertebrale, ed in questa lesione si infila
il nucleo, che non è altro che acqua. La lesione
dell’anulus avviene
generalmente o per piccoli microtraumi ripetuti
(esercizi in palestra svolti male, o posture
sbagliate in soggetti predisposti) o a causa di
un trauma “importante” che o nell’immediata o
dopo alcuni giorni provoca, appunto, l’ernia.
L’ernia vera e propria, poi, compare, quasi
sempre, nel momento in cui ci si rialza da una
posizione in flessione anteriore, magari
combinata con una rotazione. Questo movimento fa
sì che venga spinto posteriormente il nucleo del
disco intervertebrale che va ad infilarsi nella
lesione precedente dell’anulus, e fuoriesce.
Quindi è facile che un’ernia venga prodotta?
Non propriamente: affinché si produca l'ernia
discale è necessario che esistano dei fattori
predisponenti, di natura degenerativa, a carico
dell'anello fibroso e che il nucleo sia ancora
abbastanza conservato per poter protrudere.
Si tratta quindi di una compressione del nervo?
Gli esperti hanno pensato per molti anni che si
trattasse di una compressione, invece oggi, la
teoria più accreditata propende per la
possibilità che si tratti di un “importante”
fenomeno infiammatorio del nervo, causato non
tanto dallo schiacciamento, quanto piuttosto dal
rilascio di tutta una serie di sostanze
contenute nel nucleo discale che sono altamente
lesive per il nervo. Dunque se la lesione è
compressiva, occorrerà assolutamente
decomprimere e, in questo caso, l’unico tipo di
intervento efficace è quello chirurgico. Se
invece la lesione è chimica, allora la soluzione
potrebbe arrivare dai farmaci, ultimamente gli
scienziati ne stanno mettendo a punto alcuni che
sembrano molto promettenti, ma per l’utilizzo
dei quali e per l’adeguatezza, occorrerà
aspettare ancora qualche anno.
Perché si forma l'ernia discale?
Sono diversi i fattori che intervengono:
innanzitutto occorre dire che tutte le cause che
aumentano la pressione discale possono provocare
un cedimento od una lacerazione dell'anello
fibroso e in questo caso viene aperta una via,
come detto sopra, attraverso cui il nucleo
polposo si fa strada. Generalmente la causa
principale di lesione discale avviene in
conseguenza di una significativa forza di
torsione. È importante anche sottolineare che
questa situazione è propria di coloro che
presentano un disco già in preda a fenomeni
degenerativi, poiché si è osservato che, a
carichi crescenti, in un rachide normale la
lesione strutturale avviene prima nelle vertebre
che nel disco.
E come si riconosce un’ernia?
L’ernia è facilmente riconoscibile con la Tac o
Risonanza Magnetica, ma dal momento che oggi si
sa che circa il 25-30% delle persone che non
hanno mai avuto mal di schiena in vita loro
hanno un’ernia, si capisce che la vera diagnosi
di ernia del disco può farla solo lo specialista
con una visita e che la Tac o la Risonanza
Magnetica possono solo confermare ciò che un
bravo ortopedico ha visto e intuito nel
paziente. L’unica cosa veramente tangibile in
questo caso, è una mancanza di forza, di
sensibilità o di riflessi a livello delle gambe.
Se questi test sono negativi, se anche c’è
un’ernia non ci può essere l’assoluta certezza
che questa sia la causa del dolore.
Questo significa che il medico conta di più
della TAC o della Risonanza Magnetica?
In effetti si può dire che questa affermazione è
esatta anche perché l’ernia tende ad
autorisolversi spontaneamente, quindi nelle
prime quattro settimane, salvo rare eccezioni
che il bravo medico sa ben individuare, di norma
si deve evitare di intervenire chirurgicamente,
per verificare se l’ernia segue il suo naturale
corso positivo. Va anche detto che spesso questo
richiede tempi più lunghi delle quattro
settimane e che qui conta molto una nuova la
visita dello specialista in quale è in grado di
registrare delle variazioni positive rispetto
alla prima visita, anche se magari i sintomi non
sono migliorati.
E quali sono i sintomi più diffusi?
L'ernia produce sintomi solo quando viene ad
interessare, comprimendole o dislocandole, le
strutture vicine, nervose, quali le radici o il
midollo, o che comunque contengono delle
terminazioni sensitive quali il legamento
longitudinale. Per quanto riguarda la
sintomatologia, esistono diverse fasi anche se
per il paziente il problema più grave è
l’insorgenza del dolore. Generalmente il
fastidio, più o meno accentuato, va ad
interessare la superficie lombare e/o si irradia
lungo un arto inferiore. Abbinato a ciò possono
verificarsi anche sensazioni parestesiche
(formicolii o dolori a puntura di spillo). Sono
più rari invece i fenomeni di improvvisi deficit
muscolare. Quando invece intervengono
inaspettati disturbi sfinterici, occorre
intervenire tempestivamente e agire
chirurgicamente.
E di fronte al dolore quale può essere la
soluzione da adottare?
Visto che il dolore è piuttosto fastidioso e a
volte anche violento, occorrerà procedere con un
trattamento per ridurre l’infiammazione. Il
cortisone produce buoni risultati in questo
caso, ma anche gli antinfiammatori, che sono in
grado di ridurre il dolore se somministrati a
medio lungo termine. Fino a qualche anno fa si
riteneva che rimanere coricati a letto potesse
rappresentare una soluzione ma gli esperti
ultimamente vanno in controtendenza: secondo
loro bisogna evitare di mettersi completamente a
letto e si devono alternare momenti di riposo al
movimento, evitando le posizioni che fanno
aumentare il dolore e che caricano la schiena.
In particolare spesso la posizione che fa più
male è quella da seduta. Infine, è importante
scegliere un educatore “ad hoc” in grado di
fornire un aiuto sia per quanto riguarda i
movimenti più opportuni da compiere, sia per
sollevare un po’ dal dolore.
Esistono degli esercizi adeguati in grado di
ridurre il dolore?
Sì, una delle tecniche più usate per il
trattamento del dolore che si irradia lungo gli
arti è costituita da una serie di esercizi
abbastanza semplici messi a punto da un
fisioterapista neozelandese (McKenzie) che
cercano di ridurre la pressione del disco sul
nervo spingendo la parte di disco che comprime,
nella sua posizione normale. Questo tipo di
esercizi devono però venire eseguito sotto la
“stretta” sorveglianza di un fisioterapista “ben
formato” che vi saprà orientare verso i
movimenti più corretti.
E quando nemmeno in questo modo il dolore
svanisce?
A quel punto non rimane che l’intervento
chirurgico che sicuramente toglierà il male alla
gamba ma non farà migliorare il mal di schiena.
Il rischio di “ricadute”, inoltre, esiste sia
che ci si operi sia che si rinunci
all’operazione. È bene sottolineare anche che
l’intervento chirurgico è invasivo, lascia delle
cicatrici visibili e presuppone un lungo periodo
di convalescenza.
E la riabilitazione post intervento come deve
essere e quanto tempo ci vuole per tornare a
muoversi facilmente?
Dopo l’intervento non bisogna limitare
l’attività fisica, salvo che in caso di attività
lavorativa a rischio professionale per ernia del
disco. È consigliato un programma di
fisioterapia da iniziare possibilmente entro 4-6
settimane dall’intervento, anche se non vi sono
prove che identificano una particolare modalità
o tipologia di programma riabilitativo.
Esiste un modo per prevenire l’ernia del disco?
La prevenzione, l'unica possibile, riguarda il
mantenimento di un tono muscolare che garantisca
alla colonna un sostegno adeguato. Per questo
sarà opportuno programmare degli esercizi,
simili a quelli che verranno prescritti a chi è
stato operato, che non comportino un carico per
la schiena, ma permettano il rafforzamento di
addominali e paravertebrali, i muscoli che,
sostengono la zona lombare posteriormente e
anteriormente. Il nuoto viene considerato la
disciplina sportiva più adatta per questo tipo
di problemi perché impegna in maniera simmetrica
tutta la muscolatura. Ci sono poi attività che
servono a rafforzare alcune parti in modo
mirato: è il caso, per esempio, della cyclette
che rafforza i quadricipiti femorali, cioè i
muscoli anteriori della coscia. Sono
controindicati invece gli sport che, come il
tennis, il golf, il motocross, la pallavolo, il
sollevamento pesi, sollecitano in modo
asimmetrico la colonna vertebrale. La palestra,
infine, può essere utile per programmi mirati al
rafforzamento degli addominali e che prevedano
molti esercizi di streching.
-
LA SCOLIOSI
Definizione della malattia
La scoliosi è
una deformità
che colpisce la colonna vertebrale fino
a incurvarla lateralmente in modo permanente e
fisso, creando alterazioni anatomiche non
modificabili volontariamente. Tale deviazione è
accompagnata anche da una torsione della colonna
su se stessa che coinvolge, oltre alla spina
dorsale, le articolazioni, i legamenti, la
muscolatura paravertebrale e, nei casi più
gravi, gli organi interni, ad esempio quelli
cardio-respiratori, e le viscere, causando,
quindi, problemi funzionali, oltre che estetici.

Scoliosi e atteggiamento scoliotico
Bisogna subito sgombrare il campo da
equivoci che potrebbero rivelarsi pericolosi. Un conto è la
scoliosi intesa come dismorfismo o
deformazione strutturale permanente della colonna vertebrale,
che si evidenzia in modo chiaro attraverso l’esame radiografico.
Un altro è la scoliosi posturale,
detta anche paramorfismo,
che si riferisce semplicemente a un atteggiamento viziato che,
pur determinando una deviazione laterale della colonna, non
comporta alcuna deformazione permanente e può essere corretta
attraverso interventi volontari.
Scoliosi posturale
La deviazione della colonna vertebrale nel
caso di scoliosi posturale è visibile soprattutto quando il
soggetto sta in piedi. In posizione distesa, essa si riduce
completamente. Le cause di questo tipo di scoliosi possono
essere diverse e riconducibili, in prima istanza, alla mancanza
di un adeguato movimento o al mantenimento
di posizioni scorrette troppo a lungo.
Ci riferiamo, in particolare, all’ipercifosi,
detta anche “dorso curvo”, un’accentuazione della normale
curvatura della colonna a livello del torace che si evidenzia
mettendo il paziente di profilo. Essa è dovuta a una postura
scorretta, spesso di origine familiare, che può essere corretta
durante la crescita. L’ipercifosi si
può associare anche a un’alterazione dei corpi vertebrali la cui
causa, a parte eventuali traumi, può essere collegata a un’osteocondrosi,
o osteocondrite delle cartilagini (malattia di Scheuermann). In
questi casi, i sintomi sono un persistente mal di schiena e la
posizione “curva” delle spalle.
Vi sono però anche altri motivi che possono determinare la
scoliosi posturale come:
-
la dismetria
degli arti inferiori,
cioè il fatto che una gamba sia più corta
dell’altra
-
la lussazione
dell’anca
-
le lesioni
endorachidee o
i difetti
della muscolatura del tronco che
possono provocare dolori vertebrali o muscolari.
In
questi casi, la terapia consiste
nell’eliminazione delle cause, ad esempio
compensando l’accorciamento dell’arto con
l’applicazione di rialzi, eliminando i dolori
vertebrali o rinforzando la muscolatura del
tronco attraverso esercizi specifici.
Due tipi di scoliosi
strutturale
Ci soffermiamo ora
soprattutto sulla scoliosi
strutturale, che
provoca una deformazione permanente della
colonna vertebrale. Ne esistono di due tipi,
una primaria,
che riguarda la maggior parte dei casi (80%),
chiamata anche idiopatica,
dal momento che non se ne conoscono ancora
esattamente le cause. L’altra secondaria o congenita dovuta
a patologie conosciute, anche se piuttosto rare,
che riguardano malformazioni ossee della colonna
vertebrale, dell’anca o di un arto inferiore, la
cui gravità varia da caso a caso.
La scoliosi congenita è
anche associata a:
-
sindromi neuromuscolari.
La si osserva, ad esempio, in alcune malattie
come la paralisi cerebrale, la distrofia
muscolare, la poliomielite, l’ipotonia
congenita, l’atrofia muscolo-spinale e l’atassia
di Friedrich;
-
malattie del collageno,
come la sindrome di Marfan, la neurofibromatosi,
la sindrome di Down;
-
displasie, nanismo,
ecc.
La scoliosi idiopatica
La scoliosi più diffusa è quella primaria o idiopatica:
ne sarebbero affette tra le 2-4 persone ogni 1000. Si tratta di
una malattia ad evoluzione molto rapida che si sviluppa nel
corso della pubertà fino alla maturità ossea, quando gli
adolescenti stanno attraversando il periodo di maggiore crescita
della statura:
-
dagli
11 ai 15 anni nelle ragazze
-
dai 13 ai 17 nei ragazzi
-
e si arresta quando
l’attività delle cartilagini di accrescimento
dei corpi vertebrali cessa, diventando fissa una
volta raggiunta l’età adulta. Colpisce in
particolare i soggetti longilinei e astenici e
le ragazze che, infatti, a 10 anni di età sono
10 volte più a rischio rispetto ai coetanei
maschi.
Secondo recenti studi, sembra appurato che
l’origine della scoliosi abbia una base
genetico-ereditaria e che alle sue cause, che
restano peraltro ignote, possa contribuire una
serie di fattori concomitanti, di tipo ormonale,
biochimico, biomeccanico, neuromuscolare. Quel
che è certo è che la possibilità per un figlio
di madre scoliotica di sviluppare la malattia è
fino a 10 volte più elevata rispetto a un
individuo, figlio di madre normale.
Il processo scoliotico
Curve primitive e curve secondarie
-
La deformazione della
colonna vertebrale causata dalla scoliosi
procede attraverso fasi piuttosto rapide che, se
non rilevate e bloccate precocemente, innestano
un circolo vizioso che porta a un continuo
peggioramento, con deformità fisiche e problemi
fisiologici anche assai gravi.
Il processo inizia con una o due curve – dette principali o primitive –
alle quali ne seguono altre – emicurve
minori e di
compenso – che
si formano sopra e sotto quelle principali
proprio per compensare la deformazione che si è
creata e mantenere, per quanto è possibile,
diritto l’asse del tronco e verticale la testa.
Anche queste curve di compenso possono diventare
a lungo andare strutturali.
La
scoliosi può manifestarsi con una (70% dei casi)
o due (30%) curve primarie, che sono anche le
più gravi, considerato il maggiore angolo di
curvatura che presentano. In base alla zona in
cui si localizzano vengono definite:
-
toraciche
-
toraco-lombari
-
lombari
-
cervico-toraciche
Le deformazioni vertebrali
causate dalla scoliosi
Il processo scoliotico
comporta deformazioni caratteristiche delle
vertebre della curva, tra le quali la principale
è la tendenza a prendere una forma trapezoidale
(o cuneiforme) con il lato più corto verso la
parte concava. In questa zona, il ridotto spazio
che si crea tra una vertebra e l’altra comprime
il nucleo polposo, spostandolo verso il lato
convesso. Questa rotazione dei corpi vertebrali
provoca un’asimmetria delle costole, tanto che
quelle dal lato concavo sono spinte lateralmente
e in avanti e tendono ad assumere una posizione
orizzontale. Al contrario, quelle poste nel lato
convesso, spinte all’indietro, tendono a
verticalizzarsi, formando il cosiddetto gibbo
costale sulla
schiena.
La deformazione del torace, a seconda della
gravità, complica il meccanismo respiratorio dei
polmoni e può creare una sindrome restrittiva.
Conseguenze negative si hanno anche nel bacino,
costretto a seguire gli spostamenti della
colonna vertebrale, con curve di compenso,
mentre la stessa attività dei muscoli e dei
legamenti può in certi casi risultare
compromessa.
Curve scoliotiche ,
misurazione e progressione
Il metodo più utilizzato
per misurare una curva scoliotica è quello
proposto da Cobb. L’angolo di curvatura o,
appunto, angolo di Cobb si calcola unendo le
rette che passano per i piatti delle vertebre
più inclinate, rispettivamente in alto e in
basso.
Si è in presenza di scoliosi quando l’angolo di
curvatura supera i 5 gradi. Anche se, in genere,
il limite di gravità della scoliosi è posto
attorno ai 20 gradi.
La progressione della curva dipende, oltre che
dall’età del paziente, dalla sua forma. Ad
esempio, le curve corte – che coinvolgono un
numero di vertebre ridotto – sono le più
evolutive.
Le scoliosi iniziano a manifestarsi attorno agli
8/11 anni. Quindi, dopo un periodo di stabilità
che precede la pubertà, riprendono a svilupparsi
rapidamente fino alla deformazione strutturale.
Se i segni iniziali di una curva scoliotica
vengono scoperti prima della pubertà ci saranno
più possibilità di intervenire efficacemente
sulla malattia. Di qui, l’importanza della
prevenzione che – come vedremo – si basa sulla
semplice ma attenta osservazione del soggetto.
Comunque, anche se curata in ritardo, cioè
quando la crescita scheletrica è già iniziata, i
risultati, in molti casi, sono positivi e, se
non altro, consentono di arrestare la
progressione della deformità.
Nel periodo di accrescimento, le curve dorsali
sono le più instabili, mentre quelle lombari le
più stabili. Esattamente il contrario di ciò che
accade nell’età adulta.
Da notare, infine, che alcune scoliosi
congenite, diagnosticate prima dei 3 anni,
possono regredire. Mentre è raro il
peggioramento delle scoliosi strutturate
nell’età adulte, a meno che non si tratti di
curve superiori ai 40 gradi Cobb.
Diagnosi della scoliosi
La scoliosi compare in modo
graduale e spesso inosservata. In genere, non
provoca dolori, a meno che non si tratti della
forma dolorosa. Però, anche se è una malattia
piuttosto subdola, la si può riconoscere da
alcuni indizi evidenti nel fisico del paziente:
-
spalle a diversa altezza
-
bacino sbilanciato e una o
entrambe le scapole prominenti
-
anca sollevata
-
inclinazione della postura
da un lato.
-
In presenza di questi
segnali, è opportuno ricorrere al medico, per
capire anzitutto se si tratta di scoliosi
posturale o strutturale. Il medico esaminerà il
paziente in tre posizioni: in piedi, piegato in
avanti e disteso sul lettino in posizione
supina.
Osservando il paziente in piedi, si nota
l’eventuale asimmetria del livello orizzontale
delle spalle, dei fianchi e dei triangoli della
taglia e la presenza di eventuali deformazioni
del torace e del bacino. Importante è la
posizione delle scapole che sono alte o alate
per la pressione dell’eventuale gibbo costale.
Un occhio esperto evidenzia la sede della curva,
il verso e l’eventuale presenza di emicurve di
compenso.
Quando il paziente si flette in avanti, risulta
facile valutare l’incurvamento dei processi
spinosi e soprattutto l’entità del gibbo
costale, che tra l’altro può essere misurata con
una scala graduata.
Quando il paziente è adagiato sul lettino si può
misurare la lunghezza degli arti inferiori,
valutando la conformazione globale della colonna
vertebrale e il trofismo della muscolatura
paravertebrale. Il medico in questi casi,
valuterà anche l’elasticità o il grado di
correggibilità della curva, facendo compiere al
paziente movimenti del capo e del tronco.
Gli esami necessari per
valutare la scoliosi
L’esame radiografico del
soggetto eseguito in ortostatismo (in piedi)
permette di verificare e misurare con precisione
la deformazione scoliotica, rilevando il livello
di rotazione-trazione dei corpi vertebrali.
A seconda delle indicazioni del medico,
potrebbero rendersi necessari altri esami
radiografici in clinostatismo (“bending test” o
test di Adams, con il paziente piegato in
avanti), in caso di sospetta dismetria degli
arti inferiori, o in “lateral bending” (con
inclinazione laterale) nel caso di scoliosi
posturale.
Poiché l’età ossea del soggetto non sempre
coincide con quella cronologica, può essere
necessario – in caso di scoliosi evolutiva –
sottoporre il paziente al test di Risser che
valuta il grado (da 1 a 5) di ossificazione
raggiunto dal rachide. Per seguire l’evoluzione
della scoliosi, ci si può avvalere anche di una
tecnica correlata al calore emesso dai muscoli
della colonna vertebrale, denominata
teletermografia.
Trattamenti della scoliosi
lieve
In relazione alla gravità
del processo scoliotico in corso, si interviene
con terapie diverse. Nell’età
infantile-adolescenziale, con scoliosi lievi che
non superano i 30 gradi Cobb e non sono
evolutive, si consiglia la terapia ortopedica
allo scopo di bloccare la progressione della
curva.
Si ricorre in questi casi a corsetti, busti e
apparecchi ortesici che nei casi più lievi
possono anche portare alla completa correzione
della deformità e, in quelli più gravi, comunque
bloccano l’evoluzione e prevengono eventuali
peggioramenti.
I corsetti ortopedici sono realizzati in gesso o
vetroresina, allo scopo di esercitare una
continua e, se il caso, crescente, trazione
sulla colonna vertebrale. Si applicano, a
seconda del tipo di curvatura, nel periodo di
accrescimento del soggetto e sino al termine
della maturazione ossea.
Ne esistono di diversi tipi, ma i più importanti
sono:
-
il
corsetto alto, tipo Milwaukee, che fa presa sul
bacino, sul mento e sull’occipite, indicato per
qualsiasi tipo di scoliosi tra i 20 e i 40
gradi. Oggi, si usa sempre più raramente perché
molto invasivo e mal sopportato;
-
quello ascellare, tipo
Lionese, che cura la scoliosi con curve lombari
o dorso-lombari;
-
quello basso, tipo Lapadula,
utile nel caso di scoliosi con curve lombari o
dorso-lombari.
-
In preferenza, la scelta
del fisiatra e dell’ortopedico cade sui corsetti
bassi, meno fastidiosi e antiestetici, grazie ai
quali l’adolescente può condurre una vita
praticamente normale.
L’attività fisica
Esistono posizioni
contrastanti circa il ricorso ad esercizi fisici
per il trattamento della scoliosi. È vero, come
sostengono alcuni, che non vi sono ancora
ricerche sufficientemente attendibili in grado
di affermare con il necessario rigore
scientifico che essi rappresentino una terapia
efficace. Di certo è che gli esercizi svolti in
maniera corretta e studiati su rigorose basi
teoriche rappresentano una prevenzione di fronte
a casi di scoliosi lieve e un contributo molto
utile al risultato finale nel caso vengano
eseguiti da adolescenti ai quali è stato anche
applicato un corsetto.
La finalità degli esercizi, in pratica, deve
essere quella di far riconoscere al soggetto la
deviazione scoliotica di cui soffre, insegnargli
il movimento utile a correggerla e abituarlo a
mantenere nel tempo la posizione corretta.
Le proposte della medicina
alternativa
Esiste anche una vasta
gamma di tecniche, manipolative e no, utili nel
caso si abbia a che fare con leggere alterazioni
della meccanica del sistema scheletrico e della
colonna vertebrale, in particolare.
Ne citiamo alcune tra le più importanti, senza
entrare nel merito della loro efficacia
terapeutica.
Ci riferiamo all’osteopatia, fondata negli Stati
Uniti più di 130 anni fa da Andrew T. Still, che
studia le disfunzioni organiche, funzionali o
strutturali che coinvolgono l’apparato
muscolo-scheletrico e si propone di offrire una
guarigione naturale, considerando tutti i piani
di esistenza dell’uomo, fisico, mentale e
spirituale. La chiropratica, attiva anch’essa da
più di cento anni, che concentra la propria
attenzione sulle relazioni tra struttura
(colonna vertebrale) e funzione (coordinata dal
sistema nervoso) e sull’equilibrio di tale
rapporto per il mantenimento della salute.
La Rieducazione Posturale Globale, più recente,
che si prefigge lo scopo di riarmonizzare e
riequilibrare la macchina muscolo-scheletrica
partendo dallo studio, dalla diagnosi e dalla
terapia della postura.
Più recentemente, sono apparse anche nuove
tecniche non invasive per il trattamento della
scoliosi, come la stimolazione elettrica (LESS),
con esiti parzialmente efficaci.
Trattamento della scoliosi
grave
Quando la scoliosi è di
quelle evolutive e supera i 60 gradi Cobb, il
medico potrebbe suggerire la necessità di un
intervento chirurgico. L’età ideale per
sottoporvisi è quella dai 12 ai 16 anni. Non si
esclude, naturalmente, il suo ricorso anche in
età infantile, di fronte a casi gravi (come la
neurofibromatosi) e in età adulta, in caso di
peggioramenti estetici e statici notevoli e
complicanze di tipo respiratorio, midollare,
ecc.
L’intervento chirurgico è piuttosto complesso,
per questo va limitato a casi di particolare
gravità, quando l’instabilità della colonna
rende necessaria una fissazione chirurgica. Tale
intervento consiste in un’artrodesi vertebrale,
generalmente posteriore; in pratica un trapianto
osseo nella faccia posteriore degli archi
vertebrali interessati alla scoliosi, associata
all’inserimento di un’impalcatura e di un’asta
metallica (in genere di titanio), bloccata sulle
vertebre che stanno all’estremità della curva e
messa sotto tensione per rendere stabile e
permanente la correzione. Essendo una specialità
multidisciplinare, l’operazione va eseguita da
un neurochirurgo spinale in centri
specializzati. L’intervento è preceduto e
seguito dall’applicazione di un collare o busto
gessato che, a intervento concluso, va mantenuto
per qualche mese Al termine, si richiede un
periodo – più o meno lungo – di riabilitazione,
considerate le comprensibili conseguenze delle
sofferenze muscolari e legamentose subite a
seguito dell’intervento.

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